La rivoluzione del filo di paglia
Sedendo quietamente, senza far nulla, viene la primavera, e l’erba cresce da sé.
Lasciando fare l’essere che è il nulla si scopre che tutto è come deve essere.
(poesia dello Zenrin)
Masanobu Fukuoka (Giappone, isola di Shikoku? 1913 – 2008), figlio di un ricco proprietario terriero, lavorava alla dogana di Yokohama per esaminare e verificare che le piante in importazione ed esportazione non fossero portatrici di insetti nocivi. Questo lavoro gli lasciava molto tempo libero, che gli permetteva di fare indagini nel laboratorio di ricerca nel campo di patologia vegetale, che era il suo ramo di studi.
Nel 1937 cominciò a sperimentare nuove tecniche per la coltivazione degli agrumi. Le sue ricerche e i tentativi in agricoltura naturale, che aveva già allora intrapreso, proseguirono con maggior vigore dopo l’interruzione della Seconda guerra mondiale, che causò la perdita di buona parte dei terreni di famiglia.
È del 1947 il suo primo libro Mu: la rivoluzione di Dio, stampato a proprie spese e compendiato poi nei libri successivi. Nello stesso anno riprende, seguendo i criteri dell’agricoltura naturale e applicando il principio del “non fare”, la produzione di riso e di orzo, oltre a quella degli agrumi, con un successo straordinario.
Dal 1979, Fukuoka comincia a diffondere il proprio messaggio all’estero, dove negli anni, ha incontrato i coltivatori di molte nazioni: in tutti i continenti, diffondendo il suo credo con passione e cercando anche una via per la lotta alla desertificazione.
Ha insegnato in diverse università, tenuto conferenze in tutto il mondo.
È morto all’età di 95 anni dopo aver fatto milioni di proseliti.
La ricerca
Nella Terra del Grano Maturo, come i giapponesi definiscono con orgoglio il loro paese, sulle pendici di una collina, a Iyo nella prefettura di Ehime, è sorta la fattoria di Masanobu Fukuoka.
Le fotografie mostrano un luogo simile al Paradiso terrestre: in un armonico disordine convivono un bosco, un agrumeto, un orto e un frutteto, in una caleidoscopica girandola di fiori, frutti e colori.
Il percorso per ottenere questo risultato apparentemente semplice non è stato né agevole né facile.
L’osservazione della natura attraverso il microscopio non finiva mai di meravigliarlo per la sua compiutezza e per la profonda similitudine esistente tra il microcosmo analizzato e l’immenso macrocosmo dell’universo intorno a lui.
In antitesi a questa vita di lavoro e di studio conduceva, però, un’esistenza senza uno scopo, lasciandosi vivere. Si ammalò di una grave forma di polmonite e, ricoverato in ospedale, abbandonato a se stesso, temette anche di morire. Nonostante la guarigione, però, Fukuoka era profondamente depresso e tormentato da continui dubbi.
Una notte, nel suo perenne girovagare, giunse su una collina, di fronte alla baia di Yokohama, sul mare e lì rimase in un soporoso dormiveglia, sogguardando l’alba che sorgeva dal buio, fino a quando non venne svegliato dal grido di un airone. L’uccello, dopo aver sbattuto le ali, volò via e, in quel preciso istante, il giovane Fukuoka comprese che tutti i suoi timori, la confusione e quelle poche certezze che ancora gli rimanevano si erano dissolti nella brezza del primo mattino, insieme a tutte le cognizioni scientifiche che fino a quel momento aveva acquisito.
Il senso stesso della vita aveva perso di significato. Senza nessuna esitazione concluse, esprimendosi a fior di labbra: “In questo mondo non c’è assolutamente nulla…”. Era l’anno 1938.
Una nuova consapevolezza
Da allora e per tutto il resto della sua vita, Masanobu Fukuoka si distacca da tutto il suo passato, senza nessun rimpianto e senza mai voltarsi indietro.
Nel corso degli anni, elabora l’intuizione che ha sovvertito completamente il suo modo di vivere: l’inadeguatezza della conoscenza intellettuale, che secondo lui coincide con il “non sapere nulla”. Questa riflessione lo porta alla “non-utilità del fare” in relazione a un mondo che invece si mostra sempre più frenetico nel voler perseguire i suoi obiettivi.
La genesi dell’agricoltura naturale, per Fukuoka, ha origine da queste considerazioni che danno vita a un movimento interiore di matrice sociale, etica e spirituale “la rivoluzione del filo di paglia” che prende forma concreta con la realizzazione della “fattoria biologica” come da lui viene concepita.
Nell’immaginarla, non si deve fantasticare attorno all’idea preconcetta di una fattoria modello, è necessario vederla per rendersi conto di che cosa, nella realtà, si tratta.
L’apparente disordine che si presenta allo sguardo del visitatore è il risultato concreto di un percorso interiore che nasce e che si ispira a un orientamento spirituale e filosofico del buddismo zen giapponese e in parte agli insegnamenti del taoismo, una filosofia nata in Cina con caratteristiche religiose e naturalistiche, profondamente radicata in Giappone.
Per comprendere meglio il valore morale e sociale che sta alla base della “rivoluzione del filo di paglia”, è necessario illustrare brevemente almeno due dei principi che ne costituiscono le basi trascendenti, naturalistiche e anche religiose e che ne sono il fulcro.
Uno dei capisaldi della dottrina taoista è la spontaneità: tutto accade senza una ragione precisa, esiste un “meccanismo di autoregolazione che può manifestarsi soltanto se non gli si fa violenza”; questo principio teorizza quanto affermavano i contadini ai tempi dell’origine del taoismo: essi sostenevano che l’agricoltura segue ritmi propri, regolati esclusivamente dalla natura, suo unico vero propulsore, nonostante le cure prestate a sostegno del suo sviluppo.
Si arriva così alla negazione dell’azione: il wei-wu-wei, l’azione non azione ovvero la legge dell’agire senza agire, perché l’autoregolazione viene da sé, la spontaneità deve avere le stesse qualità dell’acqua che cambia forma, ma può ritornare uguale a se stessa, leggera.
Tutto deve avvenire con grande naturalezza ma con consapevolezza e autodisciplina, per non abbandonarsi al caos che potrebbe scaturire dall’insieme di queste non-azioni.
Il fine del wu-wei è di far sì che l’uomo conviva con la natura sempre in armonia, senza porsi desideri irrealizzabili da raggiungere attraverso azioni impossibili, che gli causerebbero solo grandi sofferenze, teoria condivisa anche dal buddismo zen.
Pur facendo propri questi principi, Fukuoka non si è mai dichiarato credente o seguace di alcuna religione ma, molto più semplicemente e umilmente, si definisce un “contadino rivoluzionario”.
Per lui è imprescindibile stare nel “vuoto”, nell’essenza delle cose, attribuendo valore anche a quelle meno rilevanti, come per esempio un filo di paglia, elemento che si rivelerà di un’importanza capitale nella vita e nel lavoro di Masanobu Fukuoka, tanto da citarlo, ispirato dalle parole di un anonimo: “Tratta un filo di paglia come se fosse importante e non fare mai un passo inutile”, nel titolo di uno dei suoi libri.
La natura in sé è completa, non è né buona né cattiva, basta servirla, perché fornisca all’uomo l’indispensabile per il suo sostentamento. Non è necessario, perché dia i suoi frutti, fare o utilizzare mezzi per renderla più fertile e incrementare così il suo sviluppo.
È sufficiente seguire la pratica del Mu o del nulla, lo stato assoluto che trascende l’essere e il non essere; tutta l’esistenza nasce dal Mu e alla fine torna al Mu e così l’agricoltura naturale.
Filosofia e metodo
Fukuoka ha passato circa quarant’anni a cercare di intervenire il meno possibile nella pratica dell’agricoltura per non interferire con i cicli naturali e alterarli minimamente, perché “il progetto migliore è non fare progetti”.
“La cultura e l’agricoltura false e materialistiche iniziano e finiscono ‘agendo’. Ma il modo di vivere del vero uomo inizia e termina ‘non agendo’.”
Il sentiero della natura della ‘non-azione’, dove tutto quello che uno deve fare è di immergersi nel seno della natura, è la strada che l’uomo vero deve percorrere.
Fukuoka ha sempre pensato che “lo scienziato può studiare l’agricoltura, ma l’agricoltore può coltivare anche senza sapere nulla della scienza”.
Il suo impegno, forte delle sue convinzioni, l’ha sempre portato a guardare la natura, seguendone le inclinazioni e i cicli, distaccandosi dalla realtà fenomenica apparente, per osservare l’autentico mondo naturale e condividerne l’essenza.
Dall’agosto del 2008, Masanobu Fukuoka non è più tra noi, ma come lui amava dire: “In natura c’è la vita e c’è la morte e la natura è piena di gioia…”, e la gioia nella natura e per la natura è un bene incommensurabile che ha lasciato a tutti, soprattutto a chi ha a cuore il benessere della Terra.
Come eredità, sono rimasti i suoi scritti, una sorgente inesauribile di pensieri, riflessioni, consigli per apprendere il metodo di coltivazione naturale e per intraprendere il cammino interiore e spirituale indagato e percorso da lui instancabilmente.
Questo “contadino rivoluzionario” ha tracciato un solco innovativo nel modo di coltivare la terra, nei confronti di chi la vede solo come un mezzo per guadagnare e accumulare reddito, ma che per lui rappresenta invece solo un ritorno. Un ritorno ai villaggi, lasciando la vita alienata e il caos della civiltà, dove ricominciare una vita vera, lontano da falsi ideali e false aspirazioni.
Non esiste un modo o un metodo per raggiungere questo obiettivo, bisogna riavvicinarsi alla terra con spirito diverso, non considerandola come un mezzo o un bene attraverso il quale far evolvere l’economia, ma seguendo la via della non azione, il cammino spirituale e interiore tracciato da Masanobu Fukuoka.
“L’agricoltura naturale parte da una prospettiva che trascende il tempo e lo spazio, e ritorna a un punto che si trova oltre il tempo e lo spazio.”
L’agricoltura naturale è imitazione della natura essendone parte e Fukuoka ci trasmette un messaggio a oggi insuperato: l’umanità espressione essa stessa della natura non può distruggerla per sostentarsi. L’analisi non speculativa del soddisfacimento del bisogno di cibo non prevede le grandi quantità, le ampie estensioni monocolturali finalizzate all’obiettivo del massimo raccolto ottenibile, niente di tutto ciò.
Il convivere armonico con la natura, per Fukuoka significa migliorare la condizione dell’uomo cacciatore-raccoglitore attraverso alcune semplici tecniche che altro non sono che imitazioni dei cicli naturali.
Evitare accuratamente di potare il frutteto, significa semplicemente rispettare la forma naturale che ogni albero ha in sé, l’accorgimento sarà quello di scegliere delle varietà più antiche che non sono state selezionate per dare il massimo di loro stesse in quindici anni per poi deperire ed essere espiantate.
La tecnica della semina su sodo, dove per sodo si intende il terreno non lavorato nel quale macchinari moderni oggi interrano il seme, lavorando una striscia di terreno della larghezza minima necessaria, non è altro che ciò che accade continuamente in natura.
Chi semina la moltitudine di piante che riscontriamo nei campi non coltivati? E chi le essenze arboree nei boschi naturali?
La trasemina continua del riso sull’orzo o sul grano e viceversa, altro non è che un’imitazione della natura, dove il miglioramento tecnico è rappresentato esclusivamente dal lavorare con essa.
Quando un gruppo di uomini e donne sceglie di spargere dei semi di riso sulle stoppie dell’orzo, ricoprendoli poi con la paglia, altro non fa che integrarsi per l’appunto con la natura.
Si potrebbero citare infiniti esempi di questo “non metodo”, come lo definirebbe Fukuoka, ma è di sicuro più importante cogliere l’essenza del messaggio tecnico che il maestro giapponese trasmette: l’agricoltura è natura e con essa deve convivere, perché lo sfruttamento speculativo degli elementi naturali (suolo, acqua e profilo dell’ambiente) e il loro inquinamento portano esclusivamente all’autodistruzione.
Il messaggio porta la data del 1938 ed è tuttora valido.
Lezioni Italiane
Durante l’estate del 1981 Masanobu Fukuoka venne in Italia, poco dopo la pubblicazione del suo libro, La rivoluzione del filo di paglia, per tenere lezioni pubbliche e seminari a studenti, docenti, imprenditori agricoli e a tutto il pubblico interessato ad ascoltare teorie nuove nel campo dell’agricoltura.
L’itinerario toccò per prima la città di Firenze, Reggio Emilia, Pavia e Milano e infine Preganziol, in provincia di Treviso.
Durante il suo soggiorno in Toscana, al campo/seminario di Ontignano presso Fiesole, si presentò in un modo del tutto inconsueto:
“Penso di non essere diverso da voi, ma ho trovato una piccola differenza tra voi e me.
Il significato del mio nome è:
Masa = diritto, retto
Nobu = fede
Fuku = felice
Oka = montagna.
La piccola differenza con voi è che volete imparare, io sono venuto per vuotarmi la testa da quel che ho imparato in Giappone, cioè nessuna preoccupazione mi insegue”.
E continuò:
“Siccome voi non capite il giapponese e io non capisco l’italiano è come se parlassimo nel vuoto. È ottimo perché tutto ciò che sta nel vuoto non pesa su di noi”, esemplificando così ai presenti al suo pensiero.
Fukuoka, intorno a sé, desta curiosità, ma non interesse da parte dei docenti che partecipano alle sue conferenze, perché obiettano che l’agricoltura naturale risulta inadatta Italia, sia per la composizione del terreno sia perché può essere dedicata solo a piccole estensioni.
Il maestro giapponese sostiene, invece, che bisogna ritornare al suolo e al clima originario del luogo che lo ospita, chiarendo il dualismo “non conoscere la natura – tornare alla natura”, perché più la si studia e meno la si conosce. Non è importante capire, la natura ha solo bisogno di essere servita, senza manometterla, senza intervenire.
L’agricoltura naturale non chiede nulla: “non sapere proprio niente e non fare niente”, non intervenire, “non fare” o wu-wei.
“L’agricoltura naturale ara la terra con le sue radici, con i vermi, con i microrganismi e con la terra stessa: “servendo la madre terra, è essa che sceglie per l’uomo il meglio”.
Applicare questo sistema non significa abbandonare, ma assecondare i movimenti della natura stessa. La natura, per coltivare la terra, possiede metodi molto più efficaci di quelli dell’agricoltore, bisogna che raggiunga però il suo equilibrio ecologico per ottenere buoni risultati.
Fukuoka concludendo, espone i quattro punti cardine dell’agricoltura naturale:
non diserbare
non lavorare il terreno
non usare concimi chimici né composti organici
non usare sostanze chimiche di alcun genere.
La conclusione di queste lezioni italiane è al tempo stesso semplice e geniale nella sua essenza:
“La chiave è fatta di un semplice contadino contento di essere un semplice contadino”.