Cucina-alto-medioevo

Il “Piron”

Storia della forchetta, strumento di Satana, vero oggetto diabolico, condannata dalla religione e del suo accidentato cammino come utensile per tutte le tavole

“A volte la felicità è arrotolata su una forchetta ricca di sapore”

La forchetta

La voce piron, non è un anagramma, tantomeno un indovinello e neanche una famigerata password, ma semplicemente la “traduzione” in dialetto veneto del participio presente del verbo greco peirao (πειράω) che significa infilzare: peiron quindi piron, ovvero la forchetta, magari un po’ rudimentale, ma sempre forchetta, oggetto che infilza.

Una favola vera

C’era una volta una famosa nobildonna bizantina di alto lignaggio…

Una principessa che giungeva nientemeno che da Costantinopoli, splendida e magnifica metropoli, capitale dell’Impero romano d’Oriente. Il suo nome era Maria Argiropulina, nipote  dell’imperatore Basilio II e, da parte di padre, membro della famiglia Argyros, Maria era anche parente del futuro imperatore bizantino Romanos III Argyros. Era molto giovane, diciassette anni e, per questioni di intricate alleanze, era stata promessa in sposa a Giovanni Orseolo di vent’anni, figlio del Doge di Venezia Pietro II Orseolo.

Le lussuose nozze e la comparsa del piron

Maria, altezzosa e raffinata, al banchetto di nozze, imbandito con molto sfarzo, rimase inorridita nel vedere quei selvaggi di europei avventarsi come belve sui piatti, afferrando il cibo con le mani. Così, nell’anno del Signore 1004, la cronaca del matrimonio cita ufficialmente la comparsa della forchetta su una tavola dell’Europa occidentale, con la quale l’aristocratica giovane, dopo averla estratta dal suo astuccio, la utilizzava per portare i bocconi di cibo alla bocca, sotto gli occhi stralunati di tutti gli invitati.

il-piron-della-corte-bizantina
Il “piròn”, forchetta veneta, già in uso alla corte bizantina

Era uno strano oggetto d’argento, con un manico e due rebbi appuntiti, che servivano per infilzare il cibo, appunto il peiron, diventato poi piron. Maria fu molto criticata, ma non venne mai meno alle sue aristocratiche abitudini.

Facciamo un po’ di storia…

Simulacri di forchette, però, erano già comparsi prima di allora, ma senza l’impatto che aveva provocato il peiron alle fastose nozze dell’Argiropulina con l’Orseolo.

L’imbroccatoio, per esempio, un pugnale molto acuminato già in uso presso i Romani, venne convertito alla corte di Bisanzio, nella notte dei tempi, in una specie di spillone, che col tempo si trasformò nell’antenata della forchetta a due rebbi e così fu per qualche centinaio di anni.

All’incirca nel 400 dopo Cristo, a Costantinopoli, capitale dell’Impero Romano d’Oriente, il peiron continuava la sua evoluzione, erano infatti comparse le prime forchette a tre punte sulla tavola, come testimonia uno straordinario reperto archeologico al Metropolitan Museum di New York.

Nel VII secolo, i Longobardi insediati nelle province dell’Italia meridionale, legate per lungo tempo all’impero bizantino utilizzavano una forchetta, sia pure rudimentale. In una miniatura del “Codice delle Leggi Langobarde” si vede una immagine del re Rotari intento a pulire un pesce, mentre usa un coltello e una specie di forchetta.

il-pasto-dal-de-universo
“Il pasto”, miniatura dal “De Universo” di Rabano Mauro, Montecassino, X-XI-sec.

E, questo utensile, verso il X, XI secolo, appare tra le miniature del “De Universo” di Rabano Mauro. Più o meno, nello stesso periodo, a Venezia, nell’Ultima Cena raffigurata sulla inestimabile Pala d’Oro di San Marco, sono riprodotte due forchette e due coltelli destinati a Cristo e Pietro.

Venezia, nuove nozze, nuove forchette

Ma torniamo di nuovo a Venezia. I veneti, alleati storici dei bizantini, erano a conoscenza del fatto che le forchette erano ormai un accessorio diffuso alla corte di Bisanzio, ma nonostante questo, quando Domenico Selvo, nominato doge di Venezia nel 1071, sposa qualche anno dopo Teodora Anna Ducas, figlia dell’imperatore Costantino X, un altro scandalo è pronto a esplodere.

Ma affidiamoci a uno scritto in proposito, attribuito a san Pier Damiani:

“Costei amava vivere una vita molle e delicata, e si compiaceva di cose belle e piacevoli. Durante i pasti faceva attenzione a non toccare mai il cibo con le mani. Gli eunuchi, addetti al suo servizio, avevano il compito di ridurre i suoi cibi in tante parti minute che poi lei stessa con certe forchettine d’oro […] portava alla bocca e assaggiava”.

La forchetta, ancora una volta, fu interpretata come un diabolico strumento di perversione. Oltre a questo, la nobile principessa prendeva bagni solo con acqua di rugiada e si circondava di incensi e ricercatissimi profumi, c’era di che scagliarle contro un anatema.

Per la cronaca, san Pier Damiani morì ben tre anni prima del matrimonio di Teodora e quindi gli storici hanno deciso che forse Il suo bersaglio fosse l’Argiropulina.

Pasta e forchetta

Mentre al cucchiaio e al coltello non si può proprio rinunciare, la forchetta non è così indispensabile e la sua diffusione va di pari passo con quella della pasta, perché è calda, viscida e scomoda da afferrare, unica eccezione, i maccheroni che continueranno a essere mangiati con le mani.

A sostegno di questa affermazione, frate Bonvesin da la Riva ci racconta, nel 1288, come si mangiava a Milano, ma non nomina mai la forchetta, perché dove non si consuma pastasciutta, le forchette sono inutili, così come è completamente ignorata negli inventari del 1522 del castello di Challand, in Val d’Aosta.

Intanto il vituperato utensile continua il suo faticoso cammino sulle mense di tutta Europa. Dai due rebbi usati fino al 1400 si passa ai tre del 1500, per il quarto, molto utile e comodo per arrotolare gli spaghetti, bisognerà aspettare il regno di Ferdinando IV di Borbone re delle Due Sicilie.

Infatti, per come è arrivato a noi nella sua forma attuale, questo oggetto, fu creato verso la fine del  XVIII secolo da Gennaro Spadaccini, suo ciambellano di corte.

Un estimatore: Thomas Coryat

Chi parla diffusamente della forchetta e con una certa curiosità, nel 1608, è il viaggiatore inglese Thomas Coryat, in occasione di un suo viaggio in Italia. Racconta che ha visitato molti paesi e città, ma che non ha mai visto in nessun luogo quello strano arnese che usano gli italiani per mangiare la carne, fatto di ferro o di acciaio e anche d’argento per i signori.

Nonostante l’ostinata e pervicace opposizione della chiesa, Coryat è convinto che l’utilizzo di questo strumento sia legato a questioni di buona educazione e di igiene e, alla fine, anche il nostro viaggiatore si converte all’uso della forchetta, tanto che la porta in Inghilterra, dove forse non si era mai vista. Mal gliene incoglie, viene subito giudicato uno stravagante dai molli costumi, per questo suo vezzo.

Nella stessa epoca in cui Coryat soggiorna nel nostro bel paese, la forchetta continua nel suo percorso per occupare finalmente in modo degno il suo un posto sulle mense apparecchiate, osteggiata persino da chi si occupa con o senza titolo di galateo, come un tal misconosciuto letterato marchigiano, tale Vincenzo Nolfi che non manca di lanciare invettive contro il povero utensile dalle pagine del suo trattatello.

Funzione politica e sociale della forchetta

Durante tutto il suo cammino verso il pieno riconoscimento e la notorietà, la forchetta è stata investita di ruoli politici, sociali e addirittura, in alcune occasioni è assurta anche al ruolo di status symbol. In alcune occasioni, infatti non è più vista più come utensile, ma viene sfoggiata come oggetto di lusso, con manici di avorio, cristallo e pietra dura.

forchette-antiche

I Guelfi e Ghibellini la usavano come indicatore politico: in una casa guelfa stava appoggiata sulla tovaglia, a destra del piatto, mentre in una casa ghibellina era posta sopra o di traverso al piatto.

Alcuni regnanti non disdegnarono affatto di mostrare il loro apprezzamento verso questo oggetto e, nel 1380, re Carlo V di Francia ostentava nel suo scrigno da tavola una forchetta, per sbigottire i suoi invitati più blasonati.

 E persino un altro Carlo, Carlo V d’Asburgo (1500-1558), l’imperatore più potente del mondo, dominatore indiscusso di “un impero sul quale non tramontava mai il sole”, possedeva una dozzina di pregiate forchette personali, che però utilizzava di rado.

Per concludere questa piccola, ma significativa rassegna, un’ultima chicca: a Firenze nel Quattrocento, la famiglia dei Medici, in netta controtendenza con i tempi, possedeva ben 56 forchette.

In Europa

E Oltralpe? In Francia il destino della forchetta è in mano a Caterina de’ Medici, arrivata alla corte di Francia nel 1533, per sposare Enrico II. Diventata madre di Enrico III, insieme a lui cercò vanamente di imporla a corte con decreti e regolamenti, raccogliendo solo risolini ironici, perché la nobiltà francese considerava l’innovazione “effeminata”.

La invisa forchetta raggiunse consensi solo nel secolo successivo, confermati da “Il Galateo” di Monsignor della Casa che aveva formalizzato le regole dell’etichetta.

Ma, al contrario, nello stesso secolo, Anna Maria d’Austria, figlia di Filippo II di Spagna e moglie di Luigi XIII di Francia, bandì dalla tavola “l’inutile forchetta” e persino l’argenteria e, con un decreto del 1629 estese il divieto a tutta la popolazione francese; alla corte di Vienna, non comparve fino al 1651.

Luigi XIV, il “Re Sole” decise di ammetterla alla sua mensa solo nel 1684. In Germania le posate in genere e la forchetta cominciarono a essere utilizzate unicamente sulle tavole più raffinate, alla fine del Seicento. In Inghilterra era appannaggio del solo re Giacomo I, che la usava regolarmente.

cucchiaio-con-forchetta
Cucchiaio d’argento con forchetta, epoca romana, III sec. d.C., Metropolitan Museum, New York

E in Italia?

In Italia, la Chiesa osteggiava l’uso della posata, ormai già diffusa in barba a tutti i divieti, tanto che il cattolico musicista Monteverdi, ogni volta che se ne serviva, faceva recitare tre messe per espiare il peccato commesso.

Per un motivo o per l’altro, però, il pregiudizio era ancora vivo agli inizi del XX secolo. Genoveffa, nata nel 1906 nel Trevigiano, figlia di un muratore e moglie di un contadino, conferma che solo gli uomini avevano diritto alla forchetta, le donne mangiavano ancora con le mani.

Secolo XXI, a che punto siamo? A grandi passi sono avanzati i finger food, gli street food, tutti molto cool e glamour, versione aggiornata dei famosi “cicheti” veneti oppure del mezzo uovo sodo con acciuga servito ad avvinazzati e incalliti giocatori di briscola delle osterie milanesi. In questo zapping alimentare, la forchetta rischia ancora una volta di essere oscurata dalla marea montante dell’happy hour.

Le-forchette-di-Munari
Le celebri forchette parlanti di Bruno Munari

Usa la mail per ricevere i prossimi articoli