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L’oro bianco

Il valore nutritivo, il significato sociale e culturale che ha il riso in tutto il mondo

“Mangia il tuo riso, al resto ci penserà il cielo”

L’origine del riso è avvolta nel più fitto mistero, le leggende che circondano questo cereale sono numerose e non aiutano certo a svelare attraverso quali percorsi sia giunto fino a noi, in Italia e nella Pianura Padana.

Di certo si sa che l’Oryza Sativa (questo è il suo nome botanico) è apparso in Estremo Oriente, sembra nell’isola di Giava, circa sette-ottomila anni fa, per diffondersi successivamente in Cina e in India e più o meno in tutto l’emisfero orientale.

Nei secoli passati

Nell’antica Roma era usato a scopo terapeutico, come infuso, per contrastare alcune affezioni addominali e, date le sue qualità curative, fu considerato per molto tempo una spezia, sia pure meno importante del pepe, mentre in Francia e in Italia, fino all’Alto Medioevo, veniva utilizzato come medicinale o come un ingrediente per preparare dolci; intorno al 1300 poi, la coltivazione del riso fu sottoposta a divieti e restrizioni.
In Europa, il cereale si affermò definitivamente come coltura nel XV e XVI secolo tanto che, al mercato di Anversa, divenne valida moneta di scambio al pari di altre merci pregiate.
In quel periodo storico, l’ascesa del riso in Italia si deve a una serie di tragici avvenimenti accaduti nel secolo precedente: guerre, carestie e una terribile pestilenza ridussero drasticamente il numero degli abitanti, trascinando il territorio e la popolazione sopravvissuta alla desolazione più totale, era quindi necessario trovare un prodotto agricolo dall’alta resa produttiva e il riso fu la risposta a questa esigenza.


Il percorso del riso

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Naturalmente il cereale di cui si parla non è certo il riso che compare oggi sulle nostre tavole. All’inizio e per molti anni a venire, in Italia, se ne coltivò un’unica varietà detta “Nostrale”, attualmente, invece, ne esistono circa una cinquantina di varietà nel nostro paese e varie centinaia nel mondo.
In Indonesia, prima della green revolution ne esistevano addirittura settemila varietà, di diversi colori. Per saperne di più è importante leggere la paziente opera di recupero di Helianti Hilman del riso tradizionale indonesiano e di altri prodotti tradizionali.
In Italia e più precisamente presso il Centro Ricerche sul Riso, di Castello d’Agogna, l’Ente nazionale Risi gestisce la Banca del Germoplasma dove è conservata una collezione di circa 1300 differenti accessioni di riso ovvero collezioni di risorse genetiche di riso, materiale utilizzato per i programmi di miglioramento genetico del cereale, che consentono di sviluppare nuove cultivar di riso, partendo da basi perfettamente note.
Questa banca possiede anche un alto valore storico, perché testimonia il percorso del progresso che, negli anni ha connotato il settore risicolo; è lo scrigno di un importante patrimonio genetico: conserva il germoplasma di tutte le varietà coltivate in Italia dalla metà del 1800 ad oggi.

Il riso coltivato in Italia ha chicchi tondeggianti, per le sue qualità è ritenuto uno dei migliori a livello mondiale e la maggior parte della sua produzione è concentrata nel triangolo Novara, Vercelli, Pavia e, in Lomellina, a nord-ovest di Pavia, esiste l’area più significativa per la produzione dei risi superfini di qualità Carnaroli, Arborio, Baldo e Vialone nano, prodotto soprattutto nel veronese e nel mantovano, ma di origini vercellesi, per citare i più importanti.

Il valore di questo lembo di terra costituito da boschi, distese verdi e zone umide va apprezzato non solo per il suo patrimonio naturale, ma anche per l’insostituibile ruolo svolto dall’agricoltura per mantenere il delicato equilibrio ambientale. In questo paesaggio affascinante, con le sue estese risaie e i lunghi filari di pioppi, nulla è naturale, ma tutto è stato trasformato e organizzato dall’uomo con pazienza nel corso dei secoli.

Un po’ di storia

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*In origine, il territorio della Lomellina era costituito da una impraticabile palude, ricco di acque superficiali e poco profonde e così è rimasto per centinaia di anni, fino al 1482 quando il riso fu seminato proprio in questa zona per la prima volta in Italia per volontà di Gian Galeazzo Visconti, a Villanova di Cassolnovo. In seguito, gli Sforza, attraverso la realizzazione di grandi riforme agronomiche, data la peculiarità del terreno che ben si adattava alla coltivazione del riso, diedero nuovo impulso alla sua diffusione, coltivandolo nelle fattorie di loro proprietà, nei pressi di Vigevano.
L’età d’oro della risicoltura italiana ha inizio a metà del XIX secolo quando Cavour, insieme con gli agricoltori del Vercellese, costituì uno dei più efficienti e importanti sistemi di irrigazione, costituito da un complesso sistema di rogge e canali al servizio delle colture per sommergerle e proteggerle, con acqua ben distribuita, dall’escursione termica fra il giorno e la notte e portare così il raccolto a maturazione; questo sistema irriguo venne ulteriormente potenziato con la costruzione del canale Cavour.

Il resto è storia recente: i canti che accompagnavano il duro lavoro delle mondine che, nell’arco di 180 giorni circa, fra marzo e ottobre (tanto duravano le diverse fasi di lavorazione del riso), erano impegnate a dinsinfestare le risaie, la meccanizzazione comparsa ai primi del Novecento, l’utilizzo sperimentale dei primi diserbanti chimici introdotti a metà di quello stesso secolo, che daranno una svolta decisiva alla coltura del riso nei primi anni Sessanta.

Il territorio del Pavese, con il suo fascino discreto, così sospeso fra cielo e acqua, trova la sua ragione di vivere nella presenza del fiume Ticino. Le acque di questo fiume, infatti, furono utilizzate, a partire dalla fine del XIX secolo, dall’agricoltura e dall’industria, diventando, purtroppo, nei decenni trascorsi, ricetto per reflui fognari, in taluni casi neppure depurati a sufficienza.
Dopo la seconda guerra mondiale, l’introduzione della coltura intensiva del riso con l’avvento della meccanizzazione dei processi agricoli e l’impiego di mezzi chimici e tecnologici, ha sicuramente ridotto i costi e i tempi di lavoro e aumentato la produzione risicola, a scapito, però, dell’impatto ambientale.
Finalmente, con l’istituzione del Parco Ticino, è diventata prioritaria la tutela delle acque e, conseguentemente, degli ecosistemi naturali e dell’ambiente. Il 60% circa del suo territorio è dedicato alla coltivazione agricola che, per quanto possibile, si cerca di mantenere in sintonia con la regione circostante, offrendo agli operatori del settore la possibilità di collaborare attraverso metodi di produzione quali per esempio l’agricoltura biologica e biodinamica integrate con l’agriturismo.


Comprensorio neorurale della Cassinazza

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Un’eccellenza, vero fiore all’occhiello è rappresentato dal Comprensorio neorurale della Cassinazza, nato a metà degli anni novanta, tra territori della provincia pavese e milanese, una realtà virtuosa che coniuga agricoltura e ambiente, producendo e salvaguardando paesaggio e biodiversità e, dove il riso è uno dei suoi prodotti di punta.

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*Da: M. C. Cantàfora, M. Rusconi Guida al biologico a Pavia e provincia I vol, Milano 1997

Ringraziamenti: Getty Images/View Stock RF

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