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Pasta Madre: il pane “sapiente” di Lorenzo Cagnoli

Il pane vero deve essere pane di comunità, solidale e condiviso: cum panem, da qui deriva il termine companio, cioè “colui col quale si condivide il pane”

Ho grande rispetto per il pane, un rispetto ancestrale, considero il pane un cibo sacro, nel suo significato più profondo, anche una sola briciola.

Giuseppe Pitrè, letterato e antropologo siciliano, affermava che “Il pane è la grazia di Dio per eccellenza…” e ancora “E come grazia di Dio, si giura su di esso toccandolo: Pi ’sta grazia di Diu!”

Attraverso le parole di questo umanista, si tocca con mano la centralità del pane, quel pane, che da sempre è presente nella vita quotidiana dell’uomo e lo accompagna in ogni sua azione.

Il pane buono, il pane vero, quello impastato con la farina di frumento vero e acqua, possibilmente di fonte, ingrediente fondamentale per ottenere risultati soddisfacenti, non è cosa di tutti i giorni da mettere in tavola.

In città si confida, di solito, nella perizia del mastro panettiere della bottega di quartiere, altrimenti, dopo i debiti scongiuri, ci si affida alla grande distribuzione.

I soli componenti base, però, farina e acqua, non sono comunque sufficienti per ottenere un risultato apprezzabile, sono necessari la testa, il cuore e la passione di chi sa mettere le mani in pasta con sapienza e sicurezza.

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Di fornai che sappiano fare veramente il pane, che conoscano a fondo il mestiere e che interpretino l’Arte bianca con scienza e coscienza e ne condividano la tradizione culturale, che il pane porta con sé da secoli, non ce ne sono molti.

Il regista brasiliano Jonathan Nossiter, nel suo libro “Insurrezione culturale”, dove racconta di vini, vigneti, vignaioli “resistenti”, ha coniato un neologismo che mi ha colpito molto: artigianista ovvero il vignaiolo, non creatore nella cura delle sue vigne, ma piuttosto inventore, che riassume in sé le qualità dell’artigiano e dell’artista; io penso che lo stesso termine si possa applicare anche ai maestri della farina bianca, per la capacità di sposare la creatività con la capacità dell’artigiano.

Uno di questi rari artigianisti, mi era stato segnalato tempo fa da un’amica, ho preso contatti con lui, nel periodo delle feste di Natale 2021, per scoprire i segreti del suo panettone, ma purtroppo era molto impegnato, così abbiamo dovuto rimandare l’appuntamento.

Questa primavera, però, appena mi è stato possibile, l’ho raggiunto nel suo nido delle aquile, in quel di Gemmano poco lontano dalle grotte di Onferno, nell’entroterra riminese, già feudo dei Malatesta, posto su un cucuzzolo, da cui si può godere la vista di paesaggi suggestivi e pittoreschi, è lì che ha il suo laboratorio Lorenzo Cagnoli.

È lui l’inventore e demiurgo di Pasta Madre Forneria Contadina, dove impastare il pane ha la stessa valenza di officiare un rito. Questo pane profumato e buonissimo, è talmente gustoso che si può assaporare da solo, anche senza companatico.

E i dolci!… Sono andata a intervistare Lorenzo nel periodo pasquale e, appena ho passato la soglia del suo “regno”, sono stata avvolta dagli aromi di queste meravigliose specialità preparate per le feste imminenti, appena sfornate. La mia golosità ha avuto il sopravvento e, dopo le presentazioni e i convenevoli, ho chiesto subito un assaggio.

Si trattava di dolci semplici, preparati con grande cura, senza glasse, creme o liquori in aggiunta, focacce o colombe che fossero, ma con il preciso intento di destare la curiosità del consumatore, proprio per l’utilizzo di ingredienti genuini nell’impasto e la cura nella sua lavorazione, fino alla cottura.

Entrati nel laboratorio, tutti e cinque i sensi sono stati risvegliati, per primi l’odorato e la vista: l’olfatto è solleticato dalle fragranze esaltate dal calore del forno; il colore dorato, tendente al bruno chiaro della crosta, in tutte le sue sfumature, colpisce invece lo sguardo per il contrasto di tinte che presenta.

Il tatto e il gusto naturalmente sono protagonisti: prendere la fetta in mano, toccarla, sentirne la consistenza e la leggerezza è un’esperienza dai risvolti inconsueti, per chi è abituato a mangiare il più delle volte pasticceria industriale, tutta simile e omologata e, quando finalmente, dato il primo morso, il boccone arriva al palato, tutto esplode in una armonia di gusti che si assaporano uno per uno.

Le mandorle che, frantumate, lasciano quel fondo di amarognolo, il dolce zuccherino dei canditi e delle uvette che vengono stemperati sulle papille gustative e, come sottofondo, giunge all’udito, lo scrocchio della frutta secca che si frange contro i denti. E questo amalgama così sapientemente elaborato, ti lascia con un senso di soddisfazione e di pienezza.

Un’altra chicca di Lorenzo Cagnoli, un altro capolavoro nella sua unicità, è il pane di Caracòl.

Cito: “È un prodotto “artigianale” unico e inimitabile. Perché nasce dall’incontro delle farine dei cereali antichi macinate a pietra con la Pasta Madre.  Il pane fatto con il lievito naturale ha un aroma più intenso e un sapore e una fragranza particolari, una maggiore disponibilità di minerali, si conserva più a lungo ed è più sano e digeribile.”

Infine, ho fatto una scoperta veramente interessante: ogni forma di pane che viene lavorata, non è mai uguale all’altra, anche se fa parte di uno stesso impasto, prende l’impronta di chi la sta facendo in quel momento e diventa una sua ineguagliabile creatura.

Per conoscere nei particolari l’arte di questo maestro, nuovo pioniere del bio conviene ascoltare l’intervista: è come una favola, semplice e chiara nel suo intreccio e, come tutte le favole, vale la pena di seguirla fino alla fine.

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